Perdere il lavoro, l’impiego retribuito che è fonte di sostentamento, è uno dei grandi traumi che si possono subire nella vita.

Oggettivamente si può manifestare una notevole ingiustizia nell’andamento dei fatti, un’inspiegabile mal riuscita, un danno gratuito.

Un po’ come succede quando una persona viene a mancare, ecco che si iniziano a rimembrare gli aspetti positivi della situazione che ci ha lasciati e possono far capolino anche inappropriati sensi di colpa.

In effetti questa perdita è talmente ingente che la si vive come un piccolo lutto e come tale si avrà bisogno di elaborare la perdita, cosa resa doppiamente difficile dal fatto che nel frattempo incalzano i bisogni materiali oltre il non gradito interessamento delle persone vicine.

Questo è uno dei pochi casi in cui farebbe bene invece ricordare in sincerità anche quanto ci era sgradito svolgere quel dato compito, la frustrazione che ne derivava, o semplicemente il desiderio di fare altro.
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Il lavoro ed in particolar modo il lavoro dipendente, così come concepito sinora, ha ingabbiato e continua ad ingabbiare milioni di persone, costringendole a spendere pressoché tutta la vita a prestare opera e ricevere un utile finalizzato esclusivamente a questo scopo: il guadagno riesce a coprire le esigenze di base e permette di… continuare a lavorare. Nulla più.

A meno che l’individuo sia completamente soggiogato da questo sistema, sarà umano desiderare una dimensione diversa con qualche soddisfazione.

In linea generale, questo desiderio anche se tenuto al proprio interno e spesso non riconosciuto, è quello che pone la parola “fine” alla situazione professionale.

Il desiderio ha in se una potenza energetica con pochi pari,  muove vibrazioni potenti e distrugge quanto non voluto per farsi spazio.

Il problema si pone quando per soggezione mentale  indotta da usi e costumi familiari e credenze , non si riesce a dare corpo all’alternativa e non si sa realmente cosa si vuole, o si continua a credere che avendo un bel malloppo di contanti tutto cambierebbe.

In realtà è ampiamente dimostrato che i traguardi di introiti economici vengono raggiunti da chi ama quello che fa e sono il risultato e non l’obiettivo dell’opera.

Un Life Coach entra in queste dinamiche della persona in modo silenzioso e peculiarmente attento, avendo cura di favorire le condizioni adatte per la più libera espressione.

La bellezza e la costruttività in un dialogo di Coaching la si può paragonare ad un navigare da soli per mari ora burrascosi ora calmi e struggenti…, con la consapevolezza che nel proprio andare individuale, pur soli, si può contare su un alleato che al momento opportuno può indicare un’opzione di rotta, uno scoglio nascosto (vedi Schettino!), un percorso alternativo, che il Cliente stesso posto in condizioni di franca espressione può suggerire.

Solo in questo momento la compartecipazione del Coach sarà realmente manifesta, perché ci sarà bisogno di stendere un vero e proprio piano di azione per raggiungere una meta che nel frattempo si sarà fatta chiara e senza reticenze.

Ricordo quando durante la formazione in questa professione il Coach in capo ci disse che secondo la nostra linea di pensiero il cliente va sempre sostenuto ed appoggiato, anche quando ipoteticamente egli/ella desiderasse risolvere la sua situazione sentimentale eliminando (uccidendo)  il partner!

Questa provocazione la dice lunga su desideri inconfessabili ed aspirazioni segrete che ognuno di noi può nutrire, e che incanalati secondo criteri precisi possono realmente condurre al cambiamento voluto nei diversi spazi della nostra vita.

I criteri a cui asuccessolludo non hanno nulla a che fare con le incitazioni dei motivatori (“sei forte”, “quello che desideri lo puoi ottenere” etc.) ma appartengono alla figura del Coach – spesso confusa con altri ruoli – e vengono trasferiti fattivamente e non dialetticamente al Cliente.

Ad esempio un obiettivo per essere tale dovrà soddisfare i principi S.M.A.R.T.E.R.= Specificità, Misurabilità, Attuabilità, Rilevanza,Temporalità, Ecologia e  Registrazione, ed applicati al piano d’azione permettono di dare corpo ad un’aspirazione astratta convertendola in obiettivo concreto, quale può essere l’avvio di una nuova professione.