Intelligenza emotiva e pietà. C’è una correlazione tra loro? 

Quando si parla di Intelligenza Emotiva la prima parola che viene tirata in ballo è  “empatia”. In ambito psicologico con “empatia” si definisce la capacità di entrare in sintonia con il prossimo immedesimandosi nei suoi sentimenti e stati d’animo, arrivando a comprenderli profondamente.

Se guardiamo al significato che esprime la parola “pietà”, vedremo che ci sono delle similitudini notevoli tra i due termini.

La differenza sostanziale è che nell’empatia pur partecipando alle emozioni dell’altro, l’interlocutore è in grado di mantenere la lucidità che gli consente di non lasciarsi trascinare all’interno del vissuto che viene rappresentato dall’esterno.
Nella pietà c’è invece una resa totale verso l’altro, che purtroppo può divenire identificazione.

Nella pietà può accadere si parta aiutando l’altro perché ci si considera in condizioni migliori delle sue, e con una frequentazione assidua ed ampia partecipazione, ci si può accorgere solo alla fine di aver perso il proprio orientamento ed avere assimilato l’altro ed i suoi problemi come una parte di sé. Di certo il processo non è stato utile per entrambi e dannoso in primo luogo per il benefattore.8d1d0bcec93cf0d88c1dc7e65118e68c

E’ in questo senso che voglio affermare di non avere pietà, ed in particolare in questa sede mi va di dire che non ho pietà per chi pubblicizza la propria immagine puntando sui contenuti emotivi per fare notizia, e sono certa che neanche loro hanno pietà quando minano il cuore della gente per estorcere attenzione e/o danaro.

Come spesso accade, faccio con sincerità -e probabile impopolarità- il punto su questa questione che in molti neanche ravvisano, e dai quali naturalmente non posso riscuotere consensi o condivisione, ma (anche questo accade spesso) certa di avere positivi riscontri da chi è seriamente impegnato a capirsi ed a capire il mondo che ci circonda, per meglio agire ed avere buoni risultati.

In uno stato di addormentamento dell’intelligenza emotiva e con una pronta quanto dissennata reazione ad eventi “toccanti”, le persone sposano cause apparentemente buone quando invece artisticamente “buonistiche”, si bevono pensieri congegnati appositamente per ricevere consensi, ed arrivano a sostenere cause infingarde convinte della loro giusta causa, così come a comperare prodotti scadenti che però gli rievocano la bontà dei manufatti della nonna…

In questo procedere c’è l’espressione del sentimento senza però il supporto della ratio, che è ciò che in primo luogo caratterizza l’intelligenza emotiva, la quale oltre all’empatia ha delle caratteristiche che elencherò come inciso finale, e che sono inerenti all’intelligenza per l’appunto.

In relazione a quanto espresso, per “spietatezza” intendo quindi uno stato di discernimento non condizionato dalle emozioni, vivificato dall’intelligenza e sostenuto da una sensibilità che per certi versi è maggiore dell’ordinario.

Si potrebbe e dovrebb4688cfd1f5c030adc2cdbd611821a189e partire dalla considerazione che quella che noi viviamo come realtà oggettiva si esprime su un piano duale dove i concetti di bene e male si intersecano sino ad arrivare ai nostri sensi come prodotto finale, il quale viene poi filtrato secondo il nostro grado di coscienza; e che la spietatezza possa nascere dal prendere atto che le cose non sono né interamente buone, né interamente cattive, così da non cadere nella rete del giudizio preformato né dell’una, né dell’altra fazione, per avere una comprensione equilibrata in cui scegliere il proprio da farsi, e non subirlo dalle impressioni emotive.

Uno dei  modi è considerare che certi insegnamenti ci hanno sempre tenuti lontani dall’acquisire lucidità di giudizio e sana commistione cuore-cervello, come ad esempio quello che favorisce una concezione  di un mondo diviso tra luce e tenebre in opposizione, anziché fornire una possibile equilibrata comprensione in cui  il buio è semplicemente assenza di luce, e che entrambi sono necessari alla vita così come la conosciamo.

Come la maggior parte delle cose, non esiste un decalogo da seguire per poter essere “svegli” o come dico “spietati”, né la stessa definizione può appuntarsi su dei criteri precisi come la moralità pretende di insegnare, relegando la non-pietà ad atto da condannare e l’essere svegli alla sapienza irraggiungibile del Buddha.

Necessita pulire la mente da preconcetti, avere la sensibilità che permette di penetrare le sfumature dei significati reconditi dei fatti “oggettivi”, possedere attenzione al massimo livello per rilevare anche i particolari apparentemente poco significativi. Eventuale plusvalore in questo contesto di lavoro su di sé, l’esperienza vissuta…

Per servire la pienezza della realtà e ciò che ci giunge sotto i sensi come possibile “materiale di lavoro” esterno, possiamo fare degli esempi…

L’attore che impersona il “prete buono” ha assecondato nella sua vita esperienze di sodomia, ma rimane ineccepibile la sua bravura nell’interpretare i suoi ruoli cinematografici e quindi la capacità di fare bene il suo mestiere.

L’impegnata anchor woman che sforna format televisi di successo, oltre ad essere protetta da un noto potere forte dello spettacolo, si dedica ad estemporanee performances lesbo in luoghi non  preposti. Nondimeno è una gradevole conduttrice e valida ideatrice di programmi

E così sino ad arrivare alle manifestazioni qualitativamente più scadenti dove gli opposti dell’individualità presenti in ognuno di noi, non vengono integrati ed eventualmente dissimulati, ma proposti  in modo sempre meno cosciente e privo di risultati, se non quello di fregare la gente fornendo la parodìa dei veri valori.

Come i rom che fanno la questua piangendo ad arte, i professionisti che mascherano il proprio ego pubblicando lettere di lodi a firma di loro fantomatici clienti, o chi sposa argomenti di interesse pubblico solo per un mero intento di promozione del proprio personaggio.

Nei risultati costruttivi dei primi, così come nel prendere atto dell’espressione di questi ultimi, il mio ricondurre alle vie traverse che sono state contigue l’oggettivarsi del successo, non ha alcuna connotazione moralistica ma può essere utile per una maggiore comprensione del paradigma entro cui l’essere umano si muove e di come decide di esprimere in esso le sue caratteristiche.

Qui nella nostra dimensione il bianco ed il nero si rincorrono e mescolano, la nascita è un inizio di morte e la morte rigenerazione, l’amore è lambito dall’odio e così via. Gli opposti sono continuamente presenti, si cercano per essere accolti e produrre una  creazione consapevole, che cioè possa essere frutto di una visione spassionata (spietata) e condurre ad azioni ponderate.

A questo proposito può essere di ausilio ricordare e cercare di dare forma alle caratteristiche dell‘Intelligenza Emotiva, che oltre all’empatia sono:

Consapevolezza: stato di auto-osservazione dei propri pensieri ed emozioni collegata ad una capacità della loro analisi e gestione. Questa consente una loro migliore espressione sul piano fattivo, con la possibilità di impiantare azioni che concertano cuore e mente.

Autocontrollo: scaturisce dalla consapevolezza e permette la modulazione quando non la trasmutazione, delle emozioni negative.

Motivazione: anch’essa si può correlare alla facoltà precedente che dopo aver reso possibile lavorare sulle proprie emozioni, con la motivazione riesce a farne combustibile per l’azione. La rabbia ad esempio, rappresenta una fonte di forza ed energia che indirizzata verso l’obiettivo sostiene lo sviluppo della motivazione.

Abilità Sociali: riuscire ad esprimere la propria peculiare essenza per poter interagire nel modo migliore con gli altri. Che ribadisco, non significa speculare sui sentimenti altrui, ma dare un apporto sincero e magari anche utile a chi ci è intorno.

  –