Il mito dell’Eroe è un archetipo che può intervenire nel percorso individuale verso la ricerca della migliore espressione di sé
Secondo la Teoria degli Archetipi di C. G. Jung esplorata in modo contiguo ed avvincente da J. Hillman, tutta la nostra vita è contrassegnata dall’adozione più o meno consapevole di queste matrici originarie. Esse sono patrimonio intimo condiviso dell’umanità, e legate alla profondità della psiche.
Gli archetipi sono riconducibili alle figure epiche, alle leggende, all’immaginazione, ai sogni, ma al contrario di una loro presunta evanescenza, essi sono presenti realmente nel nostro inconscio, dando un’impronta precisa al nostro agire.
Prima ancora di conoscere in modo didattico l’argomento, ho realizzato come in certi passaggi della mia vita particolarmente destabilizzanti, tutto il mio essere volgeva ad un nuovo modo di intendere le cose, ed era preceduto dal vivere quella io definisco una “piccola morte”, dove “piccola” non è indicativa dell’entità…, ma serve a distinguere l’evento dalla vera dipartita finale, mentre ne connota il grande senso di perdita provato.
In questi momenti di vuoto ed estremo disagio dovuto al non riconoscersi più in ciò che si è stati sino ad allora, c’è la possibile uscita di scena di un archetipo che ha avuto un ascendente dominante nella rappresentazione della nostra identità.
Chi non mente a se stesso deve riconoscere di non “essere più quello di prima”, anche se questo conduce nei meandri della confusione e del dolore. Prendere coscienza di questa realtà però, aiuta a far spazio all’acquisizione di nuovi punti di vista ed al cambiamento.
Non è insolito provare quantomeno nostalgia per il “vecchio sé” che conoscevamo, è anzi una cosa perfettamente naturale; è in sua compagnia che abbiamo vissuto la nostra vita, ed ancora non sappiamo dove stiamo andando a parare…
Un archetipo però ci accompagna sino dove è utile, e si deve aggiungere che nessuno può dire se è stato quello giusto o quello sbagliato. Di sicuro è stato quello funzionale per noi.
Ora ci sarà una new entry! A questo punto però vale la pena essere coscienti dell’impronta che i nostri pensieri ed il nostro agire stanno prendendo, e riconoscere quale matrice energetica ci sta influenzando per poterne trarre giovamento e non perdersi nei risvolti tortuosi che possono accompagnarla.
Di seguito eseguo un copia-incolla di una interpretazione del mito dell’Eroe impersonato da Batman, tratto da Psicologia Alchemica, che trovo efficace e condivisibile.
In questo caso un Eroe dark che però a suo modo non manca di servire la Luce.
Fenomenologia di Batman, la forza della disperazione ed il mito dell’Eroe nell’apologia del Buio
“I miti perdono potere se non vengono ripetuti. E se non mi vedono… non parlano di me” (Batman. Terra di nessuno)
Non si può parlare di Batman senza citare la scena “prototipica” che ne causa la nascita: il piccolo Bruce Wayne che assiste alla morte dei due genitori per una rapina. Divenuto orfano (benché ricco ereditario) giura di combattere il crimine ed il male.
Batman non ha superpoteri, si “costruisce” da solo, studia, impara le arti marziali, si sacrifica per tutta la vita per diventare quello che diventa, una macchina perfetta per forza, capacità ed ingegno per contrastare il male.
La forza motrice del suo cammino è naturalmente la “disperazione e la rabbia”, le due emozioni “basiche”, alternanti tra loro, la prima passiva, la seconda attivante ma che si nutre della precedente, prodotto della doppia perdita affettiva e dell’inevitabile percorso depressivo che ne consegue.
Batman sposa in pieno l’iter depressivo, non elabora mai il lutto, lo mantiene “aperto” per tutta la vita. Rivive sempre la sua scena prototipica, che nutre le sue emozioni attivanti, necessarie a compiere e sostenere la “Grande Impresa” che si è incaricato di compiere. Soltanto una rabbia ed una disperazione senza limiti può permettere di compiere l’impossibile, e lui lo compie.
Naturalmente sceglie il Buio, la notte, il pipistrello come archetipi del suo essere e agire, e di conseguenza la solitudine, il dover contare solo su se stesso, una autofiducia compulsiva che poi è alla base del suo compito: correggere tutto il male nel suo mondo, che sostiene come un moderno “Atlante”. In questo diventa naturalmente l’Eroe, l’uomo che si sacrifica per il bene sociale.
Molti hanno tracciato la figura di Batman di paranoia, di cinismo anaffettivo, addirittura di fascismo velato; nulla di tutto questo, è soltanto un “grande” depresso, che ha sposato il Buio, l’angoscia e la rinuncia ad ogni emozione positiva, senza mai crogiolarsi nel suo stesso dolore.
Batman ha una sola regola: non uccidere. L’impresa utopica è quella di impedire a chiunque altro di provare la sua sofferenza, consapevole dell’immensità della stessa, per cui prova a “cancellare” il suo vissuto attraverso il “non farlo rivivere” a nessun’altro, nemmeno ai cattivi.
Nigredo: quando il Buio insegna, fortifica e da vita.